Da una parte noto glottologo e linguista, dall'altra altrettanto noto
ispanista, nella sua seconda veste Lucio D'Arcangelo è noto per la sua
antipatia verso Gabriel Garcìa Màrquez, contro la cui "dittatura"
scrisse un famoso pamphlet, "La vittoria della solitudine". Il
lettore di questo testo coglie subito che un'analoga antipatia nel campo della
linguistica D'Arcangelo la rivolge a Noam Chomsky, la cui grammatica
trasformazionale è da lui considerata nient'altro che un ritorno alla lingua
mentalis di Leibniz, se non agli universali della Scolastica.
«Nel “mentalismo” chomskyano rispunta un'idea obsoleta: quella del
linguaggio come fenomeno o epifenomeno del pensiero: sua più o meno
prescindibile “veste”. Certe affermazioni di Chomsky secondo cui parole “semplici”
come “tavola”, “persona”, “convincere”, farebbero parte di “un insieme innato
di nozioni”, verrebbero facilmente confutate da una qualunque persona bilingue.»
Sebbene il testo sia molto per specialisti, già questa accusa che un guru
del terzomondismo altermondialista come Chomsky quando passa dal suo hobby
ideologo alla sua professione di linguista si trasformerebbe in un reazionario
anglocentrico è per lo meno gustosa.
In opposizione alla tesi di Chomsky che «la diversità dei fenomeni
linguistici è illusoria», D'Arcangelo pone invece in esergo all'Introduzione
l'idea di Andre Martinet secondo cui «il fatto che le lingue siano diverse non
è un deplorevole accidente, ma un tratto sintomatico della natura del
linguaggio.»
Con le 6.500 lingue diverse oggi esistenti, le 72 vocali e 116 consonanti
che ci sono solo nelle 10 lingue più parlate al mondo, i 921 suoni individuati
nelle 450 lingue più rappresentative, gli stessi concetti di soggetto e oggetto
che tendono a perdere importanza al di fuori delle lingue indoeuropee, «la
diversità delle lingue, così come si sono sviluppate e adattate, è un fenomeno
vitale manifesto che reclama l'attenzione teorica. Diventa sempre più difficile
per i teorici del linguaggio continuare a confondere l'equivalenza potenziale
con la diversità reale.» A meno di non essere «linguisti da tavolino».
Unica proposta di sistematizzazione, resta appunto quella “spirale di
Gabelentz” proposta dal linguista tedesco dell'800, secondo cui la morfologia
delle lingue evolverebbe ciclicamente dall'isolante all'agglutinazione e poi
alla flessione, per poi ricominciare. Ma anche questo è un processo che
nell'ambito dei millenni non può essere affatto verificato con la regolarità di
una vera e propria legge.
«Si è parlato spesso, specie nei media, della presunta “rivoluzione”
chomskyana, ma la vera rivoluzione, cominciata negli anni Settanta, sta
nell'ampliamento planetario dell'orizzonte scientifico con lo studio di lingue
fino a quel momento sconosciute come quelle aborigene dell'Australia e
l'esplorazione, tuttora in corso, di territori sotto questo profilo ancora
vergini come la Nuova Guinea e il Sudamerica tropicale: un fatto mai avvenuto
in proporzioni così estensive, che ha prodotto un terremoto delle conoscenze
devastante per tutte le teorie che si sono succedute nell'ultimo cinquantennio.»
Ovviamente, non tutti possono permettersi di diventare esploratori
linguistici. Ma in fondo basta già il semplice spruzzo di esempi di questo
libro, tra morfemi turchi, agglutinazione dravidica, incorporazione tiwa,
lessicalizzazione hmong, polisinteticità eschimese, radici arabe, “lingua
macedonia” dei navajo, a dare al lettore un senso di affascinante vertigine
sull'infinita possibilità di autoorganizzazione che la mente umana riesce ad
avere.
© Il Foglio
Venerdì 21 settembre 2012
Lucio D’Arcangelo
LA SPIRALE DI GABELENTZ
Solfanelli, Chieti 2012
Pagg. 116 - Euro 10,00
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